Sala Viglione del palazzo del Consiglio regionale
20 aprile 2016
IL TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI LE GRANDI OPERE E LA VAL SUSA
intervento di Gianni Tognoni, segretario del Tribunale Permanente dei Popoli
Tutto quello che il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) poteva e doveva dire sulla vicenda del/la TAV è perfettamente espresso nella sentenza di Almese e può essere riassunto in poche parole ben note a tutte/i coloro che hanno condiviso la esperienza di questi anni. La storia più che ventennale della VdS, fatta di resistenza e di esercizio responsabile di autodeterminazione di una comunità, ha fatto riscoprire e reso credibile ed obbligatorio guardare alla Costituzione, ed ai diritti fondamentali che essa assume come quadro di riferimento, non come un fatto compiuto, ma ogni volta, in ogni nuovo contesto, come un protocollo di ricerca permanente. I contributi che sono stati presentati nelle Sessioni (dai fatti quotidiani, alle relazioni degli esperti, alla collocazione della VdS nel quadro proposto da Andrea Barreda nel quadro delle grandi opere globali) danno alla sentenza tutto il peso di dati e formulazioni dottrinali che ne possono fare (come documentato nel Quaderno del Centro-Osservatorio) uno strumento imprescindibile di formazione che si applica ben al di là della VdS.
Su questo sfondo, per affrontare in modo ancor più esplicito le sfide di futuro della Sentenza (che è diventata uno strumento di comunicazione, collegamento, cooperazione con tante realtà, europee e mondiali) sono pochi gli appunti che si possono preparare: non come qualcosa di nuovo, ma come sottolineature si spera non troppo ripetitive.
1- il caso VdS è indubbiamente (anche se considerato nel suo ruolo di “rappresentante” del capitolo delle grandi opere) molto “concentrato”, per numeri di persone e luoghi/attori coinvolti, ed il meno “drammatico”, in termini di espressione massiccia di violenza sulla vita delle persone. La impressionante comparabilità con lo spettro dei casi considerati dal TPP – dal punto di vista dei meccanismi attraverso cui un problema economico-finanziario si trasforma in un processo esplicitamente violatorio di diritti costituzionali e fondamentali, dà tuttavia un’idea precisa del come e quanto la globalizzazione economico-finanziaria è una ideologia che pretende alla assoluta pervasività. E’ la “normalità” dei rapporti e dei valori di democrazia che deve, e perciò può, sperimentalmente, essere messa in discussione ovunque se ne presenti l’occasione. La “normalità” di questa metodologia è tutta giocata sul fatto che nel frattempo è in corso un’altra operazione ideologica-culturale-politica, che dichiara anormale la possibilità di opporsi ad interventi che mirano a presentarsi come legali nella loro espressine contrattuale economico-gestionale, per nascondere la loro illegittimità di fondo. Si dà per acquisito che possa essere esclusa un’opposizione, un confronto, una trasparenza sul merito da parte di soggetti che hanno memoria delle radici di inviolabilità dei loro diritti e che non si riconoscono nel ruolo di spettatori paganti ed obbedienti. La trasformazione del linguaggio che è in corso a tutti i livelli della politica, e che si impegna in modo speciale nel modificare il rapporto ed i ruoli della politica con l’ambito dei diritti fondamentali permette a questo punto di trasformare coloro che esercitano un diritto in minacce per l’ordine costituito. La piccola inutile “grande opera” della VdS diventa a questo punto un evento che, come al microscopio, rivela che la “diagnosi” di quanto succede in questo ed in altri luoghi delle democrazie doc dell’Europa è in stretta continuità con la logica e le implicazioni (con diversa drammaticità) di quanto accade su scala più sistematica nelle democrazie meno protette. La contemporaneità di quanto si è progressivamente verificato nel rapporto delle democrazie europee (e delle loro Carte dei diritti) con il popolo dei migranti (ben più esteso, eterogeneo, diffuso, ed infinitamente più drammatico per le cause che lo provocano, e le conseguenze che ne derivano) non è certamente né casuale né scollegato con i contenuti e le implicazioni del capitolo “grandi opere”.
2- Fa parte degli obiettivi originali del TPP – ripetutamente confermati nelle sue sentenze, ben richiamate nei documenti presentati nella Sessione di Torino e nella sentenza di Almese – valutare con assoluto rigore e mettere in evidenza quanto un diritto dal basso (dove ai popoli è restituito il ruolo di soggetti di diritto prima ancora che quello di vittime di violazioni) è imprescindibile per supplire-opporsi ad un diritto negato da parte dei suoi rappresentanti istituzionali. Una Sessione condotta dall’interno di un sistema riconosciuto come democratico ha posto in piena evidenza, quanto nel processo di inversione di gerarchie dei valori (l’economia è il quadro di riferimento vincolante, i diritti fondamentali delle persone e delle comunità sono una variabile dipendente) perseguito dalla globalizzazione, il diritto esistente e confermato nei suoi principi è svuotato e deviato nella sua attribuibilità concreta alle persone e alle comunità. Il caso della VdS, con la sua lunga storia di resistenza attiva e propositiva, diventa in questo senso esemplare di quanto il diritto può mantenere il suo ruolo di legittimità solo se si confronta, e si rimette in discussione, con il diritto di visibilità, di presa di parola, di partecipazione, che si esprime nelle lotte delle comunità.
3- Una lettura delle sentenze più recenti del TPP – dalla Colombia al Messico a quella della lotta delle donne lavoratrici nelle industrie tessili del Sud-Est asiatico per il riconoscimento del loro diritto ad un salario-con-dignità-di-vita – costituisce in questo senso il commento più convincente e pertinente a quanto emerso, nel giudizio e nelle raccomandazioni, dai lavori di Torino-Almese. La ri-consegna della sentenza alle/ai partecipanti alle udienze e all’assemblea generale da parte delle donne-giudici rappresentanti delle lotte del Cile, della Colombia, delle popolazioni indigene ed afroamericane, dà la misura del significato che la microrealtà della VdS (e degli altri casi presentati) ha per e negli scenari globali. Si ristabilisce in questo senso una continuità di obiettivi e di metodi nella resistenza-affermazione di diritti che rappresenta una priorità assoluta per non essere vittime anche delle strategie di divisione e di frammentazione che rappresentano una delle armi preferite della globalizzazione economica, travestita, sempre meno credibilmente, ma con una violenza che si esercita sul lungo periodo, attraverso le politiche dei Trattati economici e commerciali che hanno come obiettivo la penetrazione ed il controllo di tutto ciò che costituisce il tessuto della quotidianità dei diritti (lavoro, sanità, ricerca, ......).
L’elemento centrale – ed il fondamento più certo delle legittimità e della forza propositiva dei lavori del TPP in/con la Vds – è certamente da riconoscere nella storia e nella testimonianza concreta della partecipazione delle comunità. Non è certo qui la sede per riandare su una storia che lungo tanti anni ha prodotto di fatto una realtà profondamente innovativa, riconosciuta anche da tutti i membri della giuria del TPP come un vero e proprio “regalo”, per la capacità di dare visibilità alla possibilità e praticabilità di un processo che restituisce al diritto le sue radici di legittimità e di costruzione di democrazia. La ri-proposizione di questo processo concreto in una sede istituzionale che dovrebbe essere garante e promotrice della partecipazione reale come primo indicatore imprescindibile di democrazia rappresenta un atto dovuto e forse ovvio. Più realisticamente si tratta tuttavia, nella situazione attuale, di una vera e propria provocazione, che ha implicazioni che si estendono ben al di là della VdS. La sperimentazione del bisogno e della possibilità, sul lungo periodo, del ri-affermare l’ordine delle gerarchie tra diritti universali e regole-trattati economici, può e deve essere vista come una domanda politica e culturale totalmente aperta e degli esiti tutt’altro che garantiti. La VdS è uno dei luoghi esemplari di questa ri-alfabetizzazione. Il TPP può solo augurare che questo processo sia parte e protagonista di una rete di sperimentazioni, tutte diverse per i contesti, ma fortemente coerenti per metodologia e lucidità.