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Intervento di Carlo Freccero al convegno "Il TAV e i media: quale informazione?" (Torino, 18 Febbraio 2014)

 

[Io mi scuso di non essere presente questa sera ma ho un impegno preso esattamente quattro mesi fa, per cui rimosso, naturalmente. Sono oggi a Perugia, alla scuola di giornalismo, per affrontare un seminario riguardante il talk. Altra cosa che dico sempre ogni volta che parlo al net, dico sempre l’ora in cui parlo perché questo è molto importante: registro questa cosa al mattino alle nove e mezza, per cui seguirò gli appunti perché al mattino è un po’ difficile. Bene, fatta questa premessa vorrei iniziare]

Il tema è: NOTAV e informazione. Io parto dalla vostra illuminante relazione in cui si dice che l’opinione pubblica dipende dall’ “agenda setting”. Una brevissima osservazione sull’agenda setting: secondo tale ipotesi il pubblico conosce, attribuisce importanza o ignora ciò che i media rendono notiziabile. I media ci dicono su quali cose pensare qualcosa : lo dico perché non tutti possono in qualche modo conoscere questa teoria dell’agenda setting. E l’agenda setting dipende, dice appunto la relazione, da una stampa (una stampa in senso globale) che non ha in Italia editori puri ma è gestita da poteri forti.
La TAV viene presentata dalla stampa come un problema di ordine pubblico, di devianza e addirittura di terrorismo.
La domanda da porsi sarebbe: perché la TAV entra in agenda solo come un problema di ordine pubblico? E ancora: perché la stampa ha perso il suo ruolo storico di strumento critico? (pensate a tutti quei film che hanno immortalato attraverso l’immaginario hollywoodiano la stampa come controsistema eccetera), per diventare oggi completamente asservita al potere dominante?
La risposta che si da solitamente è che la stampa è alla dipendenza della casta politica e ne segue i diktat.
Bene, non solo. Meglio: il giornalismo rappresenta a sua volta una casta. Però ritengo che questa sia una visione un po’ semplicistica, che trae la sua origine in qualche modo dal complottismo della casta.
Ripetendo e in qualche modo semplificando: c’è una casta che muove in qualche modo le fila come un burattinaio, le fila che muovono l’opinione pubblica sono i giornalisti asserviti al potere.
Bene. Io ritengo invece che il problema sia un po’ più complesso. Anzi, mi pongo la domanda: e se il problema fosse più complesso? Se anziché essere persuasori occulti i giornalisti fossero in buona fede persuasi (sottolineo persuasi) dal pensiero unico?
Preso atto che naturalmente l’agenda dei media influenza l’opinione pubblica, la domanda da porsi è: in base a quali principi si costruisce questa agenda, quali sono gli elementi che hanno indotto la stampa a cambiare radicalmente la sua funzione da giornalismo d’inchiesta e critica sociale a difesa del consenso? Queste sono le domande da porsi.

Bene. La cosa più interessante è che parliamo, che pensiamo alla parola “dissenso”. E qui iniziamo un ragionamento.
Negli anni delle lotte per i diritti civili la parola dissenso era sinonimo di democrazia. Oggi invece è piuttosto sinonimo di: devianza, delinquenza, terrorismo.
Il movimento notav esprime il dissenso delle popolazioni coinvolte rispetto al progetto approvato a livello centrale: pertanto è un caso di “insubordinazione”, è fuori dalla maggioranza. Ecco io ritengo che il caso notav non sia un caso singolo. Lo ripeto, ma è un format: questo è il tema centrale. Io vedo nel caso notav non un caso singolo ma un format, e sottolineo questa parola, che si replica in tutti i casi di minoranze che si oppongono all’ordine del discorso quantitativo della nostra epoca.
E’ una cosa a cui tengo moltissimo questa osservazione. Noi viviamo attualmente le contraddizioni di vivere con una Costituzione formalmente basata sul principio illuministico di difesa delle minoranze ma cerchiamo di applicarla in modo contrario (è questo il tema della discussione politica di oggi) affinché la maggioranza possa esercitare quella che è di fatto una dittatura.

Per vedere come questo format si può estendere prendiamo il caso del parlamento. La dialettica parlamentare nasce per permettere anche alle minoranze di esporre le proprie idee e partecipare alla costruzione della legge. Piglio l’esempio della Boldrini: intervistata da Fabio Fazio sul decreto IMU-Bankitalia (scandaloso) la Boldrini ha giustificato la ghigliottina dicendo che era suo dovere, in veste di Presidente della Camera, di troncare il dibattito parlamentare per permettere alla maggioranza (sottolineo “permettere alla maggioranza”) di governo di legiferare. Interessante.
Dunque il Parlamento va esautorato, le leggi sono un prodotto dell’esecutivo in quanto appoggiato dalla maggioranza, e le minoranze sono di per sé qualcosa di illegale, che dev’ essere in qualche modo ricondotto al volere dei più.
Ecco questo format che si ripete anche nella situazione della Boldrini. Io, guardate, è dagli anni ’80 che mi occupo di maggioranza e sono stato forse il primo a segnalare in qualche modo, partendo dall’analisi dell’audience televisiva, come l’uso continuo del sondaggio avesse a poco a poco sostituito a livello sociale la ricerca del sapere foucoltiano o della verità in generale. Io intorno questo audience anche nel mio libro ne parlo moltissimo, e se tutte le scelte, anche politiche e morali avvengono su base quantitativa non è più possibile esprimere dissenso, è chiaro. Abolito il concetto di verità da parte del pensiero debole (altra cosa molto importante) non esiste più alcun elemento valido per opporsi ai valori della maggioranza.
Ecco che a tutto ciò poi si è aggiunto in qualche modo, dopo l’undici settembre, un clima - come posso dire – di guerra permanente che giustifica in qualche modo un permanente stato di eccezione. Ecco, questa qua è l’altra cosa fondamentale, e sottolineo “stato di eccezione” che a sua volta giustifica il superamento di qualsiasi garanzia democratica.
Ricordo, proprio per presentare questi appunti, un programma di Santoro, Servizio Pubblico, che due/tre o quattro mesi fa ha intervistato due notav come “terroriste” in quanto così presentate dalla stampa e dalla forza pubblica. Erano due ragazze giovanissime, simpatiche, belle, tranquille eccetera. Ma questo cosa vuol dire: che oggi che il semplice dissenso è sinonimo di terrorismo. Questa è una cosa che sta passando tranquillamente: chi si difende perché aggredito, anche se vede in parte riconosciute le sue ragioni, viene comunque presentato come dalla parte del torto perché (orrore!) ha operato in modo violento opponendosi all’ordine della maggioranza. La violenza è tollerata solo nel senso della forza pubblica. Altro elemento fondamentale, e dopo l’undici settembre in America sono state sdoganate la tortura, Guantanamo e tutte le forme di guerra. Apro questo inciso perché un altro elemento che ha lavorato nel nostro inconscio, quella violenza che genera orrore e in qualche modo raccapriccio se messa in opera da parte dissenziente viene vissuta come buona e giusta qualora sia un’emanazione del potere costituito.
E’ un paradosso che allo stato in qualche modo si […(*)] un comportamento più riprovevole che al singolo cittadino. Vi faccio un esempio, anche perché noi viviamo in questo mondo appunto di immagine… eccetera.
In “24”, la serie americana, Jack Bauer combatte il terrorismo con la violenza e la tortura, e scene di punizione corporale che pensavamo definitivamente […(*)] con l’avvento dell’illuminismo ritornano visibili e condivisibili. Bene, in Italia la polizia (già col G8 si era entrati in uno stato di eccezione che ricordo molto bene, e prima ancora che a Genova anche a Napoli, può picchiare, usare lacrimogeni pur di contenere comunque ogni e qualsiasi forma di dissenso, anche il più pacifico ed innocuo. E’ il dissenso in sé ad essere considerato criminale perché rallenta il raggiungimento degli obiettivi della maggioranza.
E il pensiero critico che è stato il mito della mia giovinezza, della nostra generazione, appare ormai come elemento di disturbo. Basta pensiero critico! Anche a livello dei talk, ancora ieri sera da Formigli, non si può assolutamente, anzi addirittura qui c’é Mattei, quindi si parla di abolire addirittura, di ridimensionare lo studio della filosofia nei licei, e in vent’anni di Berlusconismo la scuola è diventata una fabbrica per replicare il pensiero unico. Solo un valore ottiene riconoscimento: l’obbedienza al conformismo vigente.
E questo vale in particolare per il giornalismo.
E qui voglio chiudere con un paradosso. C’è una regola del giornalismo che in questi anni è stata regolarmente disattesa. La notizia non è se un cane morde un uomo: la notizia è se un uomo morde un cane. Il conformismo del giornalismo italiano, del Corriere della Sera, da Bruno Vespa e compagnia ci ha abituati al concetto che qualsiasi cosa succeda nel paese i cani morsicatori hanno sempre la precedenza.
Grazie, e buona serata.

Carlo Freccero – 18 Febbraio 2014

(*) è omessa una parola non comprensibile dalla registrazione audio/video