Riprendiamo in questa newsletter il commento pubblicato sul nostro sito a proposito della recente iniziativa della Procura di Torino:
Askatasuna e Spazio Neruda: la procura di Torino contesta il reato di associazione sovversiva, il tribunale del riesame riconosce il reato di associazione per delinquere. E' il nuovo attacco portato indirettamente anche all'intero movimento no tav.
Ignorare, ridicolizzare, denigrare, criminalizzare. E infine reprimere duramente.
Sono questi, esattamente in questo ordine, i passaggi successivi con cui la classe di governo di uno stato che pur si vanta di essere democratico affronta il conflitto sociale. Uno stato che ammette nei fatti la sua totale incapacità di governare il conflitto sociale con una politica lungimirante capace di tener conto dei problemi reali che il conflitto solleva. Uno stato che guarda a chi lo mette di fronte alle sue responsabilità come a un nemico da sconfiggere ad ogni costo.
L’attacco repressivo al centro sociale Askatasuna e allo spazio Neruda è l’ultimo episodio di una lunga serie che vede protagonisti, se pure con ruoli diversi ma pur sempre attenti a rispettare un copione non scritto, la digos torinese, la procura di Torino, i poteri forti della città, il partito democratico e i due quotidiani di rilievo nazionale specializzati nel gettare benzina sul fuoco.
Che il contesto siano le lotte studentesche, le lotte per la casa, per il lavoro, per i diritti degli immigrati o la guerra il cliché non cambia. A Torino non deve esserci spazio per il dissenso, il monopolio della rappresentanza delle fasce più deboli deve essere circoscritto a forze sindacali che sopravvivono godendosi la rendita delle lotte operaie degli anni ‘70, basti ricordare i cortei del 1° maggio in cui da anni viene impedito con i manganelli l'accesso alla piazza alla folta area che non interpreta la festa dei lavoratori come momento rituale ma di lotta.
Fa impressione confrontare il clima di oggi con quello a cui guardavano i padri fondatori della Repubblica nata dalla Resistenza.
Non che Torino sia un caso isolato, questo è evidente. Basti pensare alla criminalizzazione, in atto proprio in questi giorni, dell’intera esperienza dei Si Cobas a Piacenza. E basti riandare al 2001 e al G8 di Genova. Ma che Torino e la Val di Susa siano diventati laboratori di politiche repressive è altrettanto evidente.
Lo stesso centro sociale accusato oggi di associazione sovversiva nel 1999 fu devastato dalla polizia con metodi analoghi a quelli usati poi alla Diaz di Genova: era inconcepibile che si dicesse no alla guerra in una città in cui governava il partito di quel D’Alema impegnato in quei giorni a sganciare bombe su Belgrado. Parlare di guerra allora era vietato, doveva essere chiamata operazione di polizia internazionale. Fa riflettere che oggi Putin parli di operazione speciale bandendo nuovamente il termine guerra. Oggi come allora, passando per le varie guerre umanitarie e quelle per esportare la democrazia in varie parti del mondo.
E poi nei dintorni di Torino c’è la Val di Susa e da dopo Genova 2001 cresceva una forte protesta popolare che non aveva eguali nel panorama italiano. Prima ignorata, poi derisa, poi ridicolizzata e infine criminalizzata e repressa al di là dell’immaginabile. Cresceva la resistenza al TAV, cresceva la critica al modello delle grandi opere inutili e devastanti e appariva sempre più chiaro che l’idea di crescita infinita è incompatibile con il buonsenso e le leggi della fisica prima che con l’obiettivo di ridistribuire in modo più equo le risorse, soddisfare i bisogni e tutelare i diritti. E le modalità di questa lotta popolare affascinavano chi aveva vissuto altre lotte e suscitava entusiasmi crescenti in tutto il paese. Già questo mettere in discussione progetti sostenuti dal potere politico e dalle grandi lobby economiche doveva apparire intollerabile per un sistema di potere consolidato e per un potere politico incapace di affrontare la situazione con gli strumenti del confronto democratico.
E allora occorreva far ricorso a ripetute e evidenti forzature per dare legittimità a pronunciamenti parlamentari dietro ai quali potersi nascondersi per dichiarare che la maggioranza aveva deciso democraticamente.
Ma anche questo non era bastato. E quando l’area antagonista torinese aveva fatto proprie le ragioni dell'opposizione al TAV e aveva sostenuto la lotta erano iniziate le grandi manovre repressive per dividere il movimento no tav al suo interno, per intimidirlo e ridurlo a più miti consigli. Obiettivo fallito ripetutamente. Ogni militante aveva continuato a esporsi, ognuno secondo le sue possibilità, mentre la polizia non si limitava a difendere un’area militarizzata e non perdeva occasione per aggredire con manganelli e lacrimogeni sparati per colpire anche i manifestanti più innocui. In questo contesto hanno pagato duramente soprattutto (anche se non solo) esponenti di Askatasuna.
Ma un conto è un’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e un altro quella di associazione sovversiva o di associazione per delinquere. E poco cambia se a essere sotto accusa è l’intero centro sociale o una sua parte. Che l’attacco sia trasversale, all’Askatasuna e all’intero movimento no tav, risulta anche dai reati inizialmente contestati: 106 su 112 riguardano fatti accaduti in Val di Susa nell’ambito della lotta notav.
Aveva già provato a suo tempo la procura di Torino, guidata allora da Gian Carlo Caselli, a ipotizzare accuse di terrorismo e a proporre teoremi poi smentiti in tutte le sedi di giudizio.
Oggi siamo di fronte a un nuovo maldestro tentativo. A guidare la Procura non è più Caselli ma il rapporto tra Digos e magistrati inquirenti non è diverso da allora, semmai si è consolidato un metodo in cui la procura accetta acriticamente e fa proprie le conclusioni della Digos.
Per una puntuale ricostruzione della vicenda che riguarda Askatasuna e il Centro Neruda rinviamo all’analisi di Claudio Novaro, del collegio di difesa degli imputati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/07/13/costruire-il-nemico-askatasuna-i-no-tav-il-conflitto-sociale/).
Per il resto, a prescindere dalle convinzioni politiche di ciascuno, c’è un dato che deve far riflettere: a venire colpito è anche il ruolo di supplenza svolto da Askatasuna e Neruda nel fornire servizi al territorio e a coloro che più ne hanno bisogno e che vengono abbandonati dalle istituzioni. Il ricordo va a chi presta soccorsi in mare ai migranti e viene accusato di favoreggiamento di immigrazione clandestina. E anche su questo la Val di Susa, non in mare ma nelle montagne al confine con la Francia, ha molto da insegnare.
Torino, 20 luglio 2022
Controsservatorio Val Susa