Il TAV a giudizio
Intervista di Luca Martinelli a Livio Pepino - Altreconomia 29 ottobre 2015
Dal 5 all'8 novembre tra Torino e la Valsusa il Tribunale permanente dei popoli discute di "partecipazione della comunità locali e grandi opere". A partire dal caso dell'Alta velocità Torino-Lione, una giuria di nove membri del più autorevole tribunale d'opinione al mondo giudicherà se nel rapporto con le popolazioni vengono rispettati i principi fondamentali della democrazia, della partecipazione, della possibilità di interloquire dei cittadini, un fenomeno che "investe le forme della democrazia contemporanea" spiega ad Altreconomia Livio Pepino, presidente del Controsservatorio Valsusa, che rappresenta l'accusa.
La sentenza verrà letta domenica 8 novembre, alle 16, nell’auditorium di Almese, in Val di Susa. L’udienza, invece, inizia giovedì 5 novembre, a Torino, dove il magistrato Livio Pepino, presidente del Controsservatorio Valsusa, presenterà l’atto d’accusa, che è rivolto agli enti promotori di opere come l’Alta velocità ferroviaria Torino-Lione, le apposite società di attuazione, il Governo italiano, la Commissione petizioni del Parlamento europeo ed il coordinatore UE del Corridoio Mediterraneo nell'ambito delle infrastrutture Ten-T (Trans European Network-Transport).
Ad ascoltarlo, in particolare, ci saranno i nove giudici popolari del Tribunale permanente dei popoli: arrivano da tutto il mondo, rappresentano un’istituzione indipendente riconosciuta in tutto il mondo, un tribunale d’opinione dopo aver affrontato il tema del “lavoro dignitoso come diritto umano fondamentale” in India, e quello della relazione da libere commercio e impunità in Messico, ha scelto proprio la Val di Susa per discutere di “partecipazione della comunità locali e grandi opere”.
Abbiamo chiesto a Livio Pepino -che nel 2014, in punta di diritto, aveva smontato su Altreconomia le accuse di ““attentato per finalità terroristiche” e “terrorismo” agli esponenti del movimento No Tav, poi decadute anche in Tribunale- di spiegarci l’importanza di questa 4 giorni, che fa seguito alla prima udienza (che si è svolta nel marzo del 2015). “Sempre di più si stanno affiancando agli organi giudiziari istituzionali altre sedi di approfondimento, controllo e giudizio. Ci sono giurisdizioni internazionali, ma sappiamo che questi organi -pur attivati- non rispondono con sufficienza, per cui esistono numerosi organismi di questo tipo, tribunali d’opinione, e il TPP è il più vecchio (è stato fondato da Lelio Basso nel 1979, ndr) e il più autorevole. Ciò che ci si può aspettare è un risultato su due piani: intanto che si posi uno sguardo indipendente sul tema delle grandi opere in generale, e del TAV in particolare, nei loro effetti sul territorio e sulla democrazia e per le persone. Uno dei problemi che constatiamo su questi temi è proprio la mancanza di un informazione indipendente, autorevole e diffusa, che spesso viene supplita anche in aspetti fondamentali non da organi istituzionali. Guardiamo, ad esempio, alla storia del ‘dieselgate’ di VW: non è stato un organismo giudiziario, ma un ente di tutela e controllo di consumatori, ad accertare le violazioni, con tutte le conseguenze nel caso specifico. Quello che noi ci aspettiamo, è che succeda una cosa di questo tipo: un organismo che ha una autorevolezza internazionale, e condizione di indipendenza, sarà in grado di dire che cosa sta accadendo in Italia, in Europa, e in particolare in Val di Susa, dopo un momento di accertamento imparziale.
Secondo aspetto, collegato all’essere organo di opinione: è importante che quanto stabilità nella sentenza non resti relegato alle quattro mura degli esperti, ma in qualche modo abbia una eco, una diffusione di carattere pubblico. Non ci illudiamo che occupi le prime pagine dei giornali, ma almeno che entri in circolo: togliendo la polarizzazione apparente tra favorevoli e contrari all’opera, spesso rappresentata come se fosse una partita di calcio”.
Avete invitato a raccontare il proprio “caso” esponenti di movimenti contrari alle grandi opere in Italia e in Europa. Perché?
Noi abbiamo inteso il TAV in Val Susa, la Torino-Lione, come la punta di un iceberg: è un sistema, quello delle grandi opere inutili e imposte, che ha una manifestazione particolare nella Val di Susa. Fin dall’inizio l’abbiamo prospettata come un problema non localistico: non è ‘non nel nostro giardino’, ma il simbolo di una cultura e di una prassi che si sta affermando in tutta Europa, una prassi coloniale per cui le decisioni avvengono in modo autoritario, e al di fuori di modalità democratiche. Ciò che una volta accadeva nei Paesi in via di sviluppo, e che leggevamo indignati, oggi è arrivato nel cuore dell’Europa. Va contrapposto a questo sistema, un modello diverso di sviluppo.
Se ospitiamo questa sessione del Tribunale permanente dei popoli in Val di Susa è perché il movimento No Tav ha una storia, ormai lunga più di 25 anni, ed è riconosciuto a livello nazionale ed internazionale, e ciò consente alla nostra esperienza di essere esponenziale di queste realtà. Ma c’è anche un altro elemento: come si è visto spesso in America Latina o in Asia o in Africa, le grandi opere avvengono ed operano in realtà periferiche. Quindi ci saranno i No Tav di Firenze e i No Mose di Venezia, ma le loro sono eccezioni. In genere è la foresta che viene disboscata, per la costruzione delle diga. Sono i luoghi remoti quelli in cui parte la devastazione ambientale”.
Che parole immaginate di ascoltare, alla lettura della sentenza?
“I binari sono già stabiliti dal TPP nel provvedimento con cui ha dichiarato ammissibile il nostro ricorso: il Tribunale non si occupa di ambiente, ma dei diritti della comunità, di sistemi democratici, del diritto fondamentale al futuro, alla partecipazione: il giudizio sarà su questi punti.
Nella progettazione di quest’opera, nella costruzione, nel rapporto con le popolazioni vengono rispettati i principi fondamentali della democrazia, della partecipazione, della possibilità di interloquire dei cittadini, tema che va al di là delle grandi opere ma investe le forme della democrazia contemporanea. Siamo cittadini o sudditi, insomma.
Sarà evidente, però, come la connessione tra ambiente e diritti delle persone cominci ad essere riconosciuta. Alcuni passaggi dalla enciclica del Papa, che io citerò nella requisitoria, lo evidenziano. Non è un tema di nicchia. Sta diventando fondamentale per le democrazia moderne”.
È la prima volta che il Tribunale permanente dei popoli, che è nato in Italia, interviene su una situazione italiana. “Che sia un aiuto alla percezione”, si augura Pepino.