Non è successo nulla
di Ezio Bertok (Controsservatorio Valsusa)

21 marzo 2015

Tra i presenti qualcuno ha parlato di grande emozione, qualcuno ha confessato di aver provato un groppo in gola per le cose sentite, altri hanno assicurato che è stata una delle più intense giornate vissute negli ultimi anni. Giudizi forse troppo benevoli, ma nessuno sembra essere rimasto indifferente. Certo è che non si è trattato di ordinaria amministrazione e le cose dette il 14 marzo a Torino, nella nuova aula magna dell'Università, lasceranno il segno.

Ascoltare il sociologo portoghese Luis Moita, membro della giuria del Tribunale Permanente dei Popoli, che ripercorre le tappe del TPP ricordando le ragioni che quarant'anni prima avevano spinto Sartre a fondare il tribunale Russel, ascoltare Gianni Tognoni che spiega le ragioni che hanno portato il TPP a occuparsi di diritti fondamentali violati in relazione alla realizzazione di grandi opere in Val di Susa e in Europa sono cose che non capitano tutti i giorni. Come non capita tutti i giorni ascoltare l'atto di accusa argomentato da Livio Pepino che ricorda le innumerevoli occasioni di mancato ascolto delle comunità locali sul caso TAV e parla esplicitamente di nuove forme di politica coloniale nel cuore dell'Europa; e poi il sindaco di Susa Sandro Plano che si sofferma sulla differenza per un sindaco tra l'essere ricevuto e l'essere ascoltato, sulla differenza tra democrazia formale e sostanziale.


Con le vicende del contestato aeroporto di Notre Dame des Landes raccontate da Geneviève Coiffard-Grosdoy prende forma la dimensione globale degli spazi di democrazia negati che non sono certo un problema solo della Val di Susa.
Ma è la testimonianza che Gustavo Esteva ha voluto inviare per l'occasione e poi quella in video del vescovo messicano Raul Vera, e ancora la testimonianza di Ernesto Cardenal che aiutano a comprendere le dinamiche di meccanismi che portano ad analoghe violazioni di diritti fondamentali nelle realtà dell'america latina e nei paesi a democrazia matura dell'Europa. La tesi insomma che le nuove forme di colonialismo si manifestino indifferentemente nel sud del mondo, nel "giardino" degli Usa o nella nuova Europa dell'euro trova sempre nuove conferme. Sono forse queste testimonianze che hanno prodotto quel nodo in gola che ricordavo prima ma che hanno anche aiutato a rendere più esplicito il deficit di democrazia che si respira dalle nostra parti, sulla questione tav e non solo.
Agli altri componenti della giuria del TPP (Perfecto Andrés Ibáñez di Madrid, Antoni Pigrau Solé di Barcellona e l'italiano Schiattarella non è rimasto che puntualizzare aspetti non certo secondari, e al segretario del TPP Gianni Tognoni chiarire le modalità e i tempi con cui il Tribunale Permanente dei Popoli arriverà in autunno alla sentenza. E sarà di nuovo a Torino.

Eppure a Torino il 14 marzo scorso non è successo assolutamente nulla. A giudicare almeno dallo spazio dedicato all'evento dai grandi quotidiani che neppure nella loro cronaca cittadina hanno speso una riga per raccontare cosa è stato detto nella nuova aula magna dell'Università gremita da oltre 400 persone. Per i loro lettori e per tutti gli assenti non è successo niente. Quel giorno non è volata neanche una pietra, non è andato bruciato nessun compressore, non si è visto neanche un fumogeno colorato: quindi non è successo niente di cui valga la pena parlare. Eppure c'erano molti no tav a Torino, anche valsusini noti alle cronache e ben conosciuti dai pubblici ministeri, ma neanche uno che apostrofasse qualche poliziotto in borghese con l'epiteto infamante "pecorella". Per la cronaca: anche in mancanza di un mostro da sbattere in prima pagina questa volta il TGR Piemonte ha dato informazione dell'evento con un servizio dignitoso; l'edizione on line del Fatto Quotidiano ha diffuso un intervista e il manifesto ha dedicato un'intera pagina. Anche tre quotidiani del Veneto hanno parlato dell'apertura della sessione del TPP, mettendola in relazione con il MOSE.

In realtà un piccolo episodio c'è stato, vale la pena riportarlo solo perché rende l'idea del clima che attorno alla questione tav i grandi media hanno contribuito a creare anche sul piano culturale.
Un signore distinto, entrato probabilmente per sbaglio nell'atrio dell'aula magna (forse pensava fosse già iniziata la rassegna Biennale Democrazia) se ne esce prima dell'inizio dei lavori dicendo a voce alta con accento marcatamente piemontese: "Io sono SI TAV, neeh. Me ne vado, i notav sono tutti rincoglioniti". Poco elegante ma sincero. Dal suo atteggiamento non è difficile intuire che l'apprezzamento va esteso a tutti coloro che si confrontano con le ragioni notav, giudici del TPP compresi.
Mentre si dirige verso l'uscita un notav gli si avvicina e gli dice: "Può essere che sia così, ma in ogni caso lei è un gran maleducato. Arrivederci". Dal giornale che tiene in mano il signore distinto, rimasto un po' sorpreso dalla risposta pacata, è facile dedurre che è un lettore de La Stampa.
A onor del vero bisogna riconoscere che La Stampa, così come Repubblica, ha da sempre dipinto i notav soltanto come nemici del progresso, egoisti, magari fanatici o terroristi: mai come rincoglioniti. Quel lettore si sarà certo fatto un'idea tutta sua, l'importante è che il messaggio sia stato recepito.

Carlo Freccero ha usato in altre occasioni una metafora per spiegare l'interesse dei media a informare su un fatto o a ignorarlo: se un cane morde un uomo non fa notizia, la notizia è quando un uomo morde un cane. E' vero, ma c'è anche dell'altro: il lettore medio è stato educato negli anni a riconoscere la rilevanza di un fatto dallo spazio che gli dedica un grande quotidiano o un TG, e i criteri in base ai quali le testate giornalistiche danno visibilità ad un evento o gliela negano rispondono anche ad altre logiche. Quando in gioco ci sono equilibri politici e forti interessi economici i diritti passano facilmente in secondo piano, dar voce a chi ne denuncia la violazione, parlare di spazi di democrazia negata se pure per interposta persona può risultare sconveniente.

E pensare che Torino ospita l'importante rassegna Biennale Democrazia, che il prossimo 25 marzo aprirà la sua quarta edizione: cinque giorni di conferenze, Repubblica e La Stampa figurano tra gli sponsor e garantiranno ampio spazio. Ancora una volta appare chiaro quanto facile e strumentale sia inneggiare alla democrazia e parlare di diritti negati quando le vittime sono in piazza Taksim, in piazza Maidan o nelle strade di Hong Kong: dai lettori sono luoghi percepiti come molto lontani e non tutti sono abituati a trarre conclusioni più generali. Quando la democrazia viene calpestata sotto casa beh, meglio parlare di fanatici e violenti. O, come in questo caso, meglio non parlarne affatto, non sia mai che qualcuno giunga a conclusioni affrettate. La libertà di stampa è un'utopia.

Viene però da chiedersi se nella prestigiosa rassegna Biennale Democrazia i diritti negati di cui si sta occupando il Tribunale Permanente dei Popoli potranno rimanere fuori dalla porta. Non dovrebbe essere difficile per gli oratori, soprattutto per quelli che non hanno stretto un patto con gli sponsor (e non dovrebbero essere pochi) riportare l'eco dei problemi affrontati due settimane prima in una delle sedi che ospita anche numerosi incontri della rassegna. Potrebbe aiutare ad aprire gli occhi ai tanti torinesi che, come il signore distinto uscito in tutta fretta dall'aula imprecando contro i notav, sono vittime ogni giorno delle micidiali armi della disinformazione di massa. Chissà.

Nel frattempo ci consoliamo al pensiero dei tanti (non certo tutti notav) che sabato scorso uscivano soddisfatti dall'aula magna dopo quattro ore di ascolto: sul momento i loro pensieri erano altri e non si chiedevano come avrebbero raccontato Repubblica e La Stampa e i vari TG ciò che era stato detto nell'aula, né si chiedevano se ne avrebbero parlato o meno. Più tardi magari se lo sarebbero chiesto dicendosi che non è sufficiente "cantarsela da soli". Ma sul momento si godevano il primo risultato e guardavano con speranza alle prossime tappe.

Ezio Bertok