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Nelle scorse settimane alcuni fatti degni di nota concorrono a smontare l’ostentato ottimismo di Salvini e dei massimi dirigenti TELT sui tempi di realizzazione del TAV. Arrivano dalla Francia e preoccupano chi, dalle nostre parti, si affanna a dipingere una strada tutta in discesa al di là delle Alpi.

Le reazioni sono scomposte al di qua e al di là del confine e mostrano, tra l’altro, la fragilità di una democrazia che reprime il dissenso con ogni mezzo: in Val Maurienne viene vietata una manifestazione pacifica, un’ordinanza del prefetto impedisce l’accesso e la circolazione ai non residenti in una vasta area della valle e viene chiusa la frontiera sul lato italiano per chi vuole sostenere le ragioni di una protesta transnazionale. Guardiamo ai fatti andando a ritroso nel tempo.

Rubabandiera
Non mancano aspetti folkloristici in ciò che è accaduto sabato scorso sul lato italiano del confine con la Francia nei pressi di Bardonecchia. Le immagini mostrano un gruppo di attempati No Tav giocare a rubabandiera (gioco del fazzoletto) come fossero bambini ospiti di un centro estivo. Superfluo precisare che il fazzoletto è un foulard No Tav con il classico logo con il treno crociato e il vecchietto arzillo che appoggiandosi al bastone con una mano alza l’altra al cielo mostrando intenzioni poco arrendevoli. Il campo di gioco non è il prato di un centro estivo ma un piazzale dell’autostrada all’imbocco del tunnel del Frejus dove i cinque pullman di militanti No Tav erano stati bloccati dalla polizia di frontiera francese che aveva sequestrato i documenti di identità a tutti i 250 passeggeri.
Nell’attesa, che si preannunciava non breve, un gruppetto giocava dunque a rubabandiera e gli altri si dividevano nel tifo tra le due squadre facendo bene attenzione a non bloccare il traffico in transito per non commettere un reato pesantemente sanzionato dai decreti sicurezza di quel Salvini che fino a poco tempo fa giocava a rubandiera con i cinque stelle prima di fare le bizze e cambiare squadra.

Ogni bel gioco dura poco ma l’attesa si prolungava per ore e il dubbio che l’intenzione dei gendarmi fosse sostanzialmente impedire a tutti i No Tav italiani di partecipare alla manifestazione indetta sul versante francese diventava via via certezza. E infatti i documenti venivano restituiti dopo quasi sei ore, a manifestazione praticamente conclusa, salvo che 50 persone ricevevano anche un foglio con l’intestazione “Refuse d'entrée”. Il documento riportava le motivazioni del respingimento: «Est considéré(e) comme représentant un danger pour l'ordre public, la sécurité intérieure, la santé publique ou les relations internationales d'un ou de plusieurs Etats membres de l'Union européenne. Observations: appartenance notav» («Si ritiene che il soggetto costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno o più Stati membri dell’Unione europea. Osservazioni: appartenenza No Tav»). Proprio così: respinti perché No Tav.

Tra i presenti qualcuno ha suggerito l’analogia con il visto di ingresso negli USA che anni fa veniva negato a omosessuali o iscritti a partiti d’ispirazione comunista. Oggi qualcosa è cambiato e i respingimenti hanno altre motivazioni ma in ogni caso, ieri come oggi, negli States o in Francia, la sola appartenenza a una determinata categoria giustifica il respingimento facendo appello a una sorta di responsabilità collettiva a prescindere dai comportamenti delittuosi individuali. Qualcosa di simile peraltro è stato proposto anche dalle nostre parti quando la sola partecipazione a una manifestazione (ovviamente No Tav) può costituire reato qualora si verifichino singoli episodi sanzionabili dalla legge se pure attribuiti ad altri. Tutto il mondo in fondo è paese ma in ogni caso non vale il detto “mal comune mezzo gaudio”, perché il respingimento di massa alla frontiera francese, e ancor più la motivazione addotta, costituisce un pericoloso salto di qualità nella sempre più diffusa repressione del dissenso e nella criminalizzazione a priori di qualsiasi forma di protesta “a prescindere”.
Un dettaglio ancora: risulta che la polizia di frontiera francese avesse ricevuto dall’Italia nei giorni precedenti un folto elenco a cui attingere per i respingimenti preventivi ma non è dato sapere se nell’elenco fossero compresi i militanti respinti al tunnel del Frejus, compresi quelli che non hanno subito alcun processo né sono mai stati sottoposti a misure cautelari: vedi chi, in qualità di presidente di Pro Natura Piemonte appellandosi a quanto prescritto dal CIPE, aveva firmato dieci anni fa un esposto per irregolarità nel cantiere di Chiomonte legate alla sicurezza. La vendetta allora non si era fatta attendere ed era stato accusato dalla procura di Torino del reato di procurato allarme. La cosa era poi morta sul nascere e si era risolta in un nulla di fatto ma evidentemente anche quella persona rappresenta oggi «un danger pour l'ordre public».

Il risveglio delle montagne (in Francia)
La manifestazione a cui avrebbero voluto partecipare i No Tav Italiani era quella prevista nei pressi di Saint Jean de Maurienne, pochi chilometri a valle di Modane. Era promossa da numerose associazioni, collettivi, sigle sindacali tra cui Les Soulevements de la Terre, Confederation Paysanne, Les Amis de la Terre, il Collettivo Grignon de Grésivaudan, CIPRA, Extinction Rebellion, Attac, VAM-Vivre et Agir en Maurienne, il Sindacato dei Ferrovieri Sud Rail, La France Insoumise, EELV (Europe Ecologie Les Verts). Era di fatto la prima manifestazione importante contro il TAV promossa dai francesi che sembrano finalmente svegliarsi da un sonno profondo.
Storicamente sul versante francese l’opposizione al TAV Torino Lione non è neppure lontanamente confrontabile a quella che si è manifestata negli ultimi decenni sul versante italiano. In Val di Susa era diventata visibile già dai primi anni ‘90, era cresciuta notevolmente negli anni successivi e diventata poi un problema nazionale in grado di coinvolgere altri movimenti e realtà sensibili alle diverse ragioni del no: ambientali, economiche, trasportistiche. Opposizione, quella sul versante italiano, sostenuta dalle amministrazioni locali che soltanto negli ultimi tempi hanno mostrato segni di logoramento e sostenuta a fasi alterne, sempre con scarsa efficacia e molte ambiguità, da (poche) forze politiche a livello nazionale.
La situazione in Francia è radicalmente differente: una debole opposizione circoscritta quasi esclusivamente alla dimensione locale nell’area dove è previsto lo sbocco del tunnel e già devastata da cantieri, con motivazioni legate essenzialmente all’impatto ambientale nel territorio attraversato. Rarissime le eccezioni nel mondo della politica e anche a livello locale limitata a pochi amministratori di comuni interessati dai cantieri. Le stesse forze politiche ambientaliste, soprattutto a livello nazionale, non hanno mai colto l’inganno di un progetto energivoro, climaticida e di impatto devastante nell’ambiente e si sono accontentati della narrazione che il nuovo treno avrebbe portato via i TIR dalle strade.
Anche sul piano dei costi e delle risorse economiche sottratte alla collettività l’attenzione della politica e della società civile in Francia è sempre stata scarsa e neppure gli allarmi lanciati in diverse occasioni dalla Corte di Conti francese ha sortito grandi risultati. Ultimamente però il rapporto del Consiglio di orientamento delle Infrastrutture (COI), un organismo istituito dal Governo francese per proporre le priorità e le tempistiche da assegnare agli investimenti in infrastrutture, ha sortito qualche effetto positivo in Francia e reazioni scomposte in Italia (vedi 2043: Ritorno al futuro).
Così come le contraddizioni sempre più evidenti di un progetto venduto come green ma nei fatti esattamente il contrario unite agli effetti sempre più visibili dei mutamenti climatici a livello globale devono aver indotto a rivedere le posizioni almeno al partito EELV (Europe écologie les Verts) portando una cinquantina di eletti nel Parlamento nazionale e al Parlamento europeo a prendere una posizione netta sostenendo la manifestazione in Maurienne. Sono segnali importanti da non sottovalutare e che possono preludere a un cambio di rotta deciso. Certamente il dato è stato colto dalle autorità francesi che hanno fatto di tutto per boicottare la manifestazione: dopo settimane di preparazione e confronti con gli organizzatori per definire il percorso del corteo nelle ultime ora la manifestazione è stata vietata e con un’ordinanza dell’ultima ora il prefetto ha vietato l’accesso e la circolazione in una vasta area rendendo di fatto quasi impossibile raggiungere il luogo. Peraltro la cosa ha contribuito ad attrarre l’attenzione dei media, della manifestazione hanno parlato i giornali ed è stata trasmessa in diretta TV. È molto probabile che questo sia solo un primo momento, gli organizzatori promettono che altri ne seguiranno.
I No Tav della val di Susa guardano con attenzione agli sviluppi e si ripromettono alla prossima manifestazione in Val Maurienne di giocare a rubabandiera al di là del Frejus…

L’articolo è pubblicato contestualmente su volerelaluna.it